lunedì 13 aprile 2020

La quiete


In fondo l'aveva sempre saputo, di essere un'adolescente mai cresciuta. Lei che si emozionava ancora davanti a dei vecchi telefilm. Lei che appena poteva, si infagottava in pigiamoni con conigli e pecorelle, e comprava borse con nanetti e bamboline.
E quel senso di straniamento e lieve malinconia, che non l'abbandonava mai e nascondeva solo lo sgomento per un mondo che non aveva mai capito. Ma profondamente amato.
Silvia la scontrosa. Che era in perenne lite, più con gli altri con se stessa, nel tentativo inutile di uniformarsi agli altri e non sentirsi così pesante.
Silvia la timida, che pareva mangiarsi il mondo, e invece l'unica cosa che avrebbe voluto fare, era rifugiarsi sotto una coperta per sentirsi protetta. Perché, se la vita è cinica, lei non se ne sarebbe fatta mai una ragione.
Silvia che si prendeva cura dei passerotti caduti dal nido.
Silvia, che la volta in cui un topolino di campagna era rimasto incollato alla trappola, l'aveva accarezzato piangendo, mentre lui moriva, e aveva giurato che mai più ne avrebbe ammazzato uno.
Silvia l'empatica, incapace di starsene a guardare se incontrava un indifeso che soffre.
Silvia la rivoluzionaria, che da piccola pensava di poter cambiare il mondo con la solidarietà, e crescendo aveva capito che al mondo non gliene poteva fregar di meno di essere salvato.

Tirò via la coperta e si decise ad alzarsi: l'aveva sognato ancora.
Accadeva sempre nei sogni di mattina, quando timori e speranze si palesavano al cuore, e tentar di ricacciarli indietro era impresa vana: Marco che la rimbrottava.
Marco che da piccolo era l'unico a fermarsi e tornare indietro se mentre correvano, lei, perenne imbranata, cadeva e si faceva male.
Marco l'amico perfetto, così perfetto che a volte lei si chiedeva se se lo fosse inventato. Marco che la lasciava libera d'esser se stessa, e quando la vedeva perdersi nei meandri dei suoi pensieri, silenzioso le tirava il filo d'Arianna per ritrovarsi: un arcobaleno, un cartello divertente, una foto buffa.
E senza rendersene conto lei ritornava alla vita, ridendo. Marco che a volte non trovava neanche se stesso. E allora la teneva lontana, per paura di ferirla, lui che era così abituato a ferire se stesso.
Quella mattina l'aveva sognato ancora, mentre lei lo incoraggiava a seguir le sue passioni, e lui la rimproverava, come se quel che lei gli diceva fosse superfluo, inutile, e la teneva distante. Quella distanza che ti crea una voragine nel cuore e ti fa sentire vuota, come se qualcuno t'avesse rubato qualcosa d'essenziale.
E chi dice che l'amicizia tra uomo e donna non esiste, non ha capito nulla, che a volte essa arriva dove l'amore non può arrivare.
E alla fine se n'era andato, senza salutarla. Lui che vedeva dove altri non potevano, lui che sapeva leggerle dentro perché anche in lui parlava il cuore, ma che di lei non aveva la stessa forza.
Era partito, e lei l'aveva saputo per caso il giorno dopo, e la loro amicizia era rimasta come un quadro non completato.
Maledette canzoni! Era bastata una nota, la sera prima, e un fiume di ricordi si era insinuato tra le sue emozioni e nei suoi sogni di mattina Marco era riapparso, e lei era tornata bambina.
Si toccò la gola, le sembrò che per un attimo qualcuno le avesse prosciugato la saliva.
Fu tutto il giorno prigioniera di quel sogno, come una vestale rapita e portata altrove.
Poi si vestì, e andò al mare. Il cielo imbruniva, tingendosi di rosa e blu cobalto.
Il colore degli occhi di Marco. Il colore della quiete.
Sulla sabbia una scritta la fece sorridere : “Tutto passa. Pure noi.”
Silvia si rannicchiò nelle spalle, respirò a fondo l'aria salmastra e si lasciò andare... 12 febbraio 2017 Donna Jacinta

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