venerdì 8 gennaio 2021

UNA FIABA PER VIOLETTA


Pioveva a dirotto, il giorno che la ritrovarono. Come se anche il bosco piangesse la sua morte: Violetta non era più.
Era nata in una notte afosa d'agosto. Quando il caldo ti toglie il respiro, e l'umidità ti entra nelle ossa, come se il tuo corpo fosse permeabile agli umori della terra.
La valle, quella notte, aveva tremato. E frotte di uccelli inquieti avevano volato intorno alla Grande Quercia, come un presagio di sventura.
"Che sciocchezza!"- aveva esclamato Fata Madrina dinanzi ai commenti preoccupati delle Fate più anziane.
"Siete solo delle vecchie paurose e credulone!" aveva urlato, prendendo in braccio la neonata e facendole accarezzare il visino dal primo, tiepido sole del mattino.
In quel momento dalla montagna l'Aquila sacra aveva levato il volo verso i Monti solitari, non accadeva da 300 anni, e questo era stato salutato come un prodigio di buon augurio, e le chiacchiere erano cessate.
Dobbiamo dire, in verità, che la fatina non aveva un carattere facile: quante volte, era stata sgridata perché si allontanava dalle compagne, e a cavallo del suo fido Nanù, un somarello albino che sapeva parlare, si avventurava per colli e valli fino ai confini del Regno, laggiù, dove le cime si facevano più fitte, e bisognava inerpicarsi cauti, col pericolo di cadere. Ma la voglia di vedere oltre era più forte di tutto, e nessun rimprovero o castigo era sufficiente a farla desistere se si metteva qualcosa in mente.
Così passarono gli anni, la fatina cresceva felice e indipendente, e tutti sembravano aver dimenticato ciò che era successo quando era nata.
La sua voglia innata di aiutare gli altri la rendeva amabile.
E persino Gnomo Brontolone, che borbottava senza sosta pure quando era felice, se arrivava Violetta per un attimo si azzittiva, e mormorando a voce flebile, o si sarebbe rovinato la reputazione, sussurrava al Gufo Indovino che non c’era creatura più angelica di quella fatina.
Poi, un giorno, in una delle sue scorribande ai limiti di Terra di Laggiù, ella sollevò gli occhi al cielo e lo vide: un enorme drago di fuoco, che battendo l’ali riempiva l’aria di scintille.
Spaventata, fuggì via, e correndo da Fata Vaniglia le chiese: “Cos’era che ho veduto oggi e che mi ha terrorizzata?”
In quel momento la Fata anziana sbiancò, e prendendo per le spalle la nipotina le disse:
“E fai bene a spaventarti. Oggi hai visto la creatura più pericolosa del Regno Magico: il Drago dell’Amor Perduto.
Sentimi bene signorina, adesso voglio che tu mi prometta che non torni mai più laggiù. Dimentica ciò che hai visto e giurami che stavolta ubbidirai.”
Violetta promise, ma in quel momento la vecchia Fata tremò: sapeva bene che erano cominciati i guai.
Passarono i mesi, poi fu più forte di lei, e un giorno in cui le fate più anziane erano impegnate per il Gran Consiglio, Violetta tornò ai confini del Regno, si arrampicò sulle cime, e vagò finché lo vide in un anfratto: stava tentando di curare un’ala, che continuava a perder un liquido scuro, che assomigliava a sangue ma era lava mista a fuoco.
Il drago la vide e ruggendo le intimò:
“Chi osa presentarsi al mio cospetto? Scappa subito via o ti pentirai della tua imprudenza.”
Ma Violetta non sembrava per nulla intimorita.
“Chi sei? E cosa ti sei fatto? Sei ferito? Voglio aiutarti!”
La creatura ruggì di nuovo, ma spiazzata dal coraggio della fata le rispose, con tono meno aggressivo:
"Ti ripeto, scappa finché sei in tempo. Io sono Argo. Una volta ero un mago, poi osai sfidare la Fata del Nord, e fui punito con la maledizione: chiunque si avvicini a me verrà pietrificato. Ora, vai, e non tornare mai più."
La fatina ci pensò sù un attimo e poi gli disse: "Che è successo a quell'ala? Come posso aiutarti? Starò lontana, te lo prometto."
- "Sali sul Monte della Rimembranza. Lì troverai l'erba del perdono. Prendimene una ciotola e lasciala sulla collina, mi servirà per far sanare la ferita."
Com'era bello, arrampicarsi sul Monte! Circondata da ruscelli, flora selvatica e animali bizzarri, Violetta arrivò sulla cima. La riconobbe subito, l'erba del perdono: aveva un aspetto etereo, pareva zucchero filato. e un odore di uvamela, dolciastro ma pungente.
Ne raccolse una ciotola, era morbida da toccare, come l'ovatta.
Quindi la pose su una pietra in cima alla collina dei desideri, e, lanciando un saluto al drago, che stupefatto la guardava da lontano, se ne tornò a casa.
Ora, dovete sapere, che a Terra di Laggiù pure le tortore riescono a parlare. Fu così, che due tortore impiccione, videro tornare Violetta dal sentiero proibito, e andarono a riferire tutto a Gnomo Brontolone. Che, tutto impettito e assai preoccupato, mandò un messaggio alla Fata Guardiana, recava il simbolo della Grotta Oscura, e la scritta: "Guai in arrivo."
Fu convocato di corsa il Gran Consiglio, annullata la Festa Annuale delle Fate debuttanti. Tutta la Valle entrò in fermento: la Sacra Legge era stata violata, nubi nere si presentavano all'orizzonte, e oscuri presagi di morte funestavano già le teste delle Fate della Congregazione dell'Ansia Ansiosa (di cui vi parlerò un'altra volta).
Violetta dovette presentarsi davanti alle Fate anziane, fu punita col divieto di uscire dalla Valle per tre anni, e andare ad aiutare Fata Morgana nella preparazione delle pozioni dell'oblio.
Uno stormo di aironi reali della Babulonia, capaci di creare uno scudo alzandosi in volo in schiera, fu posto ai confini del Regno.
E l'accesso al sentiero proibito fu nascosto con la Cupola delle illusioni, che mascherava la percezione del reale, e invece del sentiero mostrava una Montagna impenetrabile.
Passarono i mesi, poi gli anni, Violetta cresceva, e diventava un'esperta nelle pozioni. Divenne così brava che la Fata Fattucchiera, in poco tempo la volle come sua apprendista, perché si accorse che la fanciulla possedeva la dote che ad altri mancava: l'empatia.
Era quella che le permetteva di capire di cosa, chi si rivolgeva a loro, avesse bisogno. Era quella l'ingrediente segreto alle pozioni magiche, quello che rendeva possibile l'impossibile, pensabile ciò che sarebbe apparso impensabile.
Finché... finché un giorno una vedetta riportò al villaggio una grande notizia: il Drago era morto.
Il Consiglio decise di mandare una spedizione per verificare la notizia. Fu disattivata la Cupola delle illusioni, armata una brigata di elfi e fate, e così, la Compagnia del Drago partì alla ricerca di prove che avrebbero testimoniato che la profezia era stata finalmente sconfitta.
Violetta, che non aveva mai dimenticato il drago vittima della maledizione, si finse occupata nella preparazione di pozioni, ma in segreto si unì alla Compagnia, seguendoli da lontano.
Il viaggio fu inutile, del drago nessuna traccia, la Compagnia prese la via del ritorno: avrebbero portato al Consiglio la notizia che il mostro era scomparso, ma non ucciso, e che avrebbe potuto colpire ancora.
Mentre si addentrava nella selva, seguendo a distanza la Compagnia di rientro al villaggio, Violetta mise il piede male e cadde in un dirupo, svenuta.
Si risvegliò in una grotta illuminata da tre grandi sfere... ma erano uova! Uova di drago ad emanare quella luce!
Si toccò la testa, le faceva male. A una caviglia una corda, formata con radici di alberi intrecciate tra loro, le trasmetteva calore, se la spostava continuava a sentire dolore.
Una voce possente la fece sobbalzare: "Non toccarla. ti darà sollievo, cadendo ti sei fratturata la caviglia, così guarirai."
Violetta alzò gli occhi verso la profondità dell'antro. E in quel momento seppe che era lui: il Drago.
Fu chiaro da subito che Violetta dovesse star lontana da Argo, per non restare pietrificata. Nei mesi successivi la fatina condivise con la creatura tutto il suo mondo. E anche se restavano a distanza, pian piano si avvicinavano l'una all'altra nell'anima, e nonostante il Drago, di nascosto, somministrasse alla fatina la pozione della disillusione, l'amore vero fu più potente di qualunque magia, e si innamorò.
Una notte, mentre il drago dormiva, Violetta si addentrò nella grotta, e gli accarezzò il cuore.
Fu tale lo stupore del drago, che aprì la bocca, mormorando "Ti amo."
In quel momento si realizzò la profezia e Violetta si pietrificò.
Narrano che il ruggito di dolore del drago fu tale da essere sentito in tutti i confini dei regni, umani e non umani.
E che il pianto straziante della creatura giunse fino a Fata Madrina, nel Regno delle Fate, che seppe subito ciò che era successo, e perse per sempre la parola.
Il Drago poggiò l'amata ai piedi del bosco, e le pose in mano e sulle vesti dei fiori, poi volò nel regno dell'Amor Perduto e da allora nessuno lo vide mai più.
La Fata bambina fu trovata poche ore dopo, sotto uno scrosciante temporale, da una schiera di fate capitanata dalla Regina in persona, che ordinò di poggiarla ai piedi della Grande Quercia, su una lettiga composta dai fiori più preziosi del Regno, e di costruirle intorno una bara di cristallo, affinché fosse pianta da tutti gli abitanti dei Regni.
Narrano che quel giorno il mondo perse l'empatia.
E che ogni tanto, nelle notti buie e tempestose, qualcuno senta ancora il pianto possente di un drago, che invoca il suo perduto amore.
7 gennaio 2020
Valeria Ronsivalle
Donna Jacinta
Favola mia.
Quadro Di John Everett Millais - -wGU6cT4JixtPA at Google Cultural Institute, zoom level maximum Tate Images (http://www.tate-images.com/results.asp?image=N01506&wwwflag=3&imagepos=2), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13455290


 

IL CANTO DELLA SIRENA

Dicono che quando venne al mondo la terra tremò tutta e dal vulcano un fiume di fuoco squarciò la montagna e arrivò giù, fino alla valle, ap...